7 modi per stimolare il NERVO VAGO e migliorare le risposte emotive, le capacità relazionali e favorire il cambiamento
Il ruolo centrale del nervo vago nella regolazione delle risposte emotive e relazionali e, in generale, nei processi di adattamento all’ambiente è ormai ben chiaro e definito (per chi volesse saperne di più comunque tra poco approfondiremo anche questo aspetto).
È tuttavia meno evidente come renderlo più efficace e aiutarlo a svolgere le sue funzioni in modo corretto.
Il nervo vago ci permette di reagire in modo adeguato in situazioni di stress e pericolo. La sua corretta modulazione e la sua “forza” fanno la differenza tra la capacità di rispondere in modo efficace, mantenendo controllo, padronanza e fluidità nelle risposte o, al contrario, una risposta disorganizzata, confusionaria e inefficace.
Ci sono sempre più ricerche che dimostrano che attraverso le corrette abitudini di vita, comportamenti e atteggiamenti mentali (nel senso che il termine inglese “mindset” rende in modo molto immediato) è possibile creare dei feedback retroattivi tramite i quali stimolare e rinforzare il nervo vago. I sistemi più noti riguardano la respirazione e la meditazione, ma ne vedremo anche altri molto interessanti ed efficaci.
Un po’ di storia
Il nervo vago ha ricevuto di recente grande attenzione e diffusione grazie al lavoro di S. Porges e alla sua teoria polivagale.
In realtà si tratta di un tema il cui studio è iniziato ben prima. Nel 1921 un fisiologo tedesco di nome Otto Lowi scoprì che stimolando il nervo vago si ottiene una riduzione del battito cardiaco e il rilascio di una sostanza che lui chiamò Vagusstoff (in tedesco significa “sostanza del vago”). Successivamente venne identificata come acetilcolina, il primo neurotrasmettitore identificato dagli scienziati.
L’acetilcolina ha un ruolo importante nella capacità di tranquillizzarci e il suo rilascio può essere favorito semplicemente respirando in modo profondo e con una fase lunga di espirazione.
Alla fine degli anni ’90 Kevin Tracey fece un’interessante osservazione. Mentre stavano sperimentando l’iniezione di anti-infiammatori a livello cerebrale si accorse che l’infiammazione veniva bloccata anche a livello della milza e di altri organi, anche se la quantità di farmaco era troppo piccola per entrare nella circolazione ematica e arrivare ad avere effetto negli organi. Attraverso studi successivi riuscì a capire che il cervello utilizzava il sistema nervoso, e in particolare il nervo vago, per agire sulla milza e sugli altri organi al fine di ridurre l’infiammazione.
Tornando a Porges il suo grande merito è stato di identificare due vie attraverso cui il nervo vago può funzionare: aprendo alla socialità o, di contro, attivando meccanismi difensivi. Inoltre Porges ha sottolineato il ruolo di quella che ha chiamato “neurocezione” per definire la percezione non cosciente che può avvenire a livello periferico del sistema nervoso e che ha un ruolo centrale nell’attivazione e nel funzionamento del nervo vago.
Il nervo “che vaga” – chi è e cosa fa il nervo vago
In italiano il termine nervo vago fa pensare alla vaghezza, ma si tratterebbe di un grande errore, sia linguistico che interpretativo. Deriva piuttosto dall’espressione latina che significa vagare, andare in giro, vagabondare. Questo nome è dovuto al fatto che il nervo vago possiede numerose ramificazioni nel corpo umano. È più corretto dire che non si tratta di un singolo nervo, ma di una famiglia di percorsi neurali che originano in diversi punti del tronco encefalico e che poi “vagano” e passano da cuore, polmoni, milza, intestino e altri organi vitali fino ad arrivare all’intestino. Inoltre si connette con altri nervi collegati ad abilità sociali come il contattato visivo, il parlare, riconoscere ed attuare espressioni facciali e vocali, ecc.
Il nervo vago manda continuamente informazioni al cervello sullo stato degli organi interni. Circa l’80/90% delle fibre nervose del nervo vago sono proprio dedicate a comunicare dal basso-verso l’alto lo stato dei nostri visceri al cervello. Quando si parla di emozioni o sensazioni di pancia, ci si riferisce proprio a queste informazioni che dagli organi interni arrivano al cervello tramite fibre sensoriali.
Ma non ci sono solo fibre sensoriali nel nervo vago. Le altre fibre nervose sono motorie e collegate al sistema nervoso autonomo. Le fibre motorie, così come quelle sensoriali, ci torneranno molto utili allo scopo di rinforzare il nervo vago e rimetterlo in grado di svolgere adeguatamente le sue funzioni. Tutte queste caratteristiche riguardano tutti i mammiferi, non solo l’essere umano. Questo fatto costituisce un’ulteriore conferma dell’importanza di tenere sempre in considerazione il parallelismo tra le modalità tipiche di adattamento, sviluppo, autoregolazione e risposte emotive tipiche degli altri mammiferi e quelle dell’uomo.
Ovviamente esiste anche il processo di comunicazione dall’alto-al basso, attraverso cui la mente comunica ai visceri di creare uno stato idoneo al riposo e alla digestione durante i momenti di tranquillità e sicurezza o, al contrario, di di preparare il corpo per combattere o fuggire in situazione pericolose.
Tutto questo avviene, è evidente ma vale la pena di sottolinearlo, in modo totalmente estraneo alla coscienza e al controllo del pensiero. Si tratta invece di una consapevolezza corporea, concetto che poi ci tornerà molto utile
Il nervo vago svolge un ruolo cruciale nel passaggio dal sistema nervoso simpatico (che ci attiva per affrontare i momenti di stress, pericolo e difficoltà) al sistema nervoso parasimpatico (che ci permette di ritornare in fisiologia, rilassarci e recuperare. Quando le reazione emotive sono inadeguate, eccessive rispetto alla situazione che si sta vivendo e consapevolmente irrazionali, il nervo vago non sta svolgendo la sua funzione in modo corretto.
Comprendere il ruolo del nervo vago in questo processo e, come vedremo tra poco, conoscendo i modi per supportarlo, significa avere una freccia in più particolarmente efficace tra gli strumenti che un professionista già usa per lavorare sulla regolazione emotiva e sull’auto-controllo. Si tratta di un concetto e di modalità di lavoro flessibili e facilmente integrabili con diversi approcci terapeutici e modalità di lavoro.
I rischi di un tono vagale basso
Non tutti i nervi vaghi sono uguali. O meglio: alcune persone hanno un nervo vago più forte, che comporta sapersi rilassare più velocemente dopo uno stress, regolare in modo più efficace il battito cardiaco e il livello di glucosio nel sangue, interagire correttamente con il sistema immunitario per ridurre lo stato infiammatorio quando non è più necessario.
Un indicatore utile per verificare lo stato di salute del nervo vago è noto come coerenza cardiaca. Si tratta di un leggero incremento del battito cardiaco quando inspiriamo (per velocizzare il flusso di sangue ossigenato) e un leggero rallentamento quando espiriamo.
Maggiore è la differenza tra il ritmo cardiaco in inspirazione e quello in espirazione, maggiore è il tono vagale. Un tono vagale alto è correlato con alti livelli di benessere psicofisico, mentre un basso tono vagale è correlato con stati di infiammazione cronica, umore ed emozioni negative, isolamento e infarto.
Un tono vagale alto è associato anche con maggiori abilità sociali e psicologiche, dalla capacità di provare empatia a quelle di memoria e concentrazione.
Modi per supportare e potenziare il nervo vago
Ci sono numerose ricerche, anche condotte su gemelli omozigoti, che dimostrano che esiste un tono vagale geneticamente predeterminato; tuttavia ci sono certi stili di vita e comportamenti che risultano ancora più rilevanti di questa eredità genetica nel determinare il tono vagale effettivo di una persona. Quindi diventa molto interessate individuare questi meccanismi per sfruttarli a vantaggio del benessere e dell’efficacia emotiva e relazionale.
1. RESPIRAZIONE
Il primo modo per agire sul tono vagale è direttamente collegato alla sua funzione di regolazione del respiro e della variabilità cardiaca. Una respirazione lenta e profonda, che coinvolga primariamente il movimento del diaframma è fondamentale. Inoltre è importante fare in modo che l’espirazione sia più lunga dell’inspirazione e avvenga per svuotamento, non come movimento attivo.
Questo tipo di respirazione può essere fatta appena prima o durante un evento stressante per regolare in modo istantaneo la risposta vagale. Tuttavia è tramite la pratica di questo tipo di respirazione due o tre volte al giorno per circa 3-4 minuti che si ottiene una modificazione duratura nel tempo. Dalle nostre ricerche è emerso che alcune persone rispondono a questo tipo di attività in modo significativo già in un paio di settimane, ma la maggior parte ha bisogno di proseguire per 5 o 6 settimane per poter consolidare il cambiamento.
2. LA FORZA DELLA PRATICA
Se non siamo abituati a fare qualcosa, se i gesti che portano ad un atto complesso come può essere una performance lavorativa, artistica o sportiva, dovremmo ingaggiare eccessivamente la nostra corteccia prefrontale, creando risultati poco fluidi e un grande stress mentale.
Se invece tramite la pratica creiamo automatismi e sequenze ampie di controllo (il pianista esperto non controlla più ogni singolo dito in un arpeggio, ma la sequenza nel suo complesso), la corteccia prefrontale si limita ad un’azione di vigilanza, l’azione è presieduta da strutture più profonde legate al movimento e il nervo vago può attivarsi supportando la fluidità di pensieri e azioni. Esercitarsi più volte in condizioni di tranquillità rappresenta un aspetto centrale per mettere il nervo vago in condizioni di svolgere il suo lavoro, senza sovraccaricarlo o farlo attivare in modalità di allarme.
3. IL GIOCO DELLA PADRONANZA
Quando non si riesce a fare qualcosa si può entrare in uno stato di sfida oppure di impotenza. Evolutivamente, come tutti i mammiferi, siamo inclini alla scoperta e al gioco, ovvero alla sfida costruttiva e giocosa rispetto ai nostri limiti. L’impotenza avviene solo quando le frustrazioni sono eccessive e pervasive. Se la prima reazione è l’impotenza e la rinuncia si tratta di una reazione appresa, anche se non ne siamo consapevoli. È fondamentale riscoprire le proprie abilità e competenze, evitando valutazioni cognitive fuorvianti e facendo leva, invece, sulla componente libera, giocosa e di scoperta della situazione. Le proprie risorse vanno stimolate con sfide adeguate al loro livello o poco di più, in modo da essere realizzabili ma anche da evitare il problema opposto della noia. Il nervo vago gioca bene in questo territorio di confine, mentre agli estremi potrebbe disattivarsi per inutilità o per insicurezza.
In questo modo si riattiva la possibilità di sviluppare padronanza, ovvero quello stato a metà tra l’eccitazione e la calma, tra la sicurezza di poterlo farlo e il piacere di superare il confine. Mi piace definire la padronanza come la fiducia che ha il gatto di cadere sempre in piedi, anche se non sa ancora quale girò farà fino a quando il salto non inizia. Infatti la padronanza non è sapere qualcosa a memoria, questo sarebbe un meccanismo rigido e senza alternative. La padronanza è flessibilità.
Un atteggiamento mentale rivolto a sviluppare padronanza può essere sviluppato a livello soggettivo ricreando quelle condizioni che abbiamo appena descritto in ogni attività. All’inizio risulta più facile in quelle in cui le componenti creativa, ludica e non produttiva sono connaturate, come lo sport, la musica o altre forme di arte, i giochi in cui si costruisce qualcosa. Una volta riscoperto il meccanismo può essere facilmente esteso anche allo studio e al lavoro.
Una mente pro-padronanza può essere anche “insegnata”, nella sua accezione esperienziale, sviluppando relazioni di cura e sviluppo (dal genitore all’insegnante, dall’educatore allo psicologo, dal coach al mentore, ognuno con le sue specifiche modalità e funzioni) in cui anche le relazioni, i ruoli, la fiducia, l’affetto e l’autonomia sono flessibili e guidate da un processo evolutivo di consapevolezza e padronanza. Si tratta di un sistema educativo e di sviluppo basato su schemi connaturati ai mammiferi, riletti secondo la prospettiva di evoluzionismo e neuroscienze.
4. SPEGNERE LE LUCI (metaforicamente)
Le prime volte che suonavo in pubblico speravo sempre che ci fosse poca luce in sala. Non vedendo bene il pubblico me ne dimenticavo e mi sembra di essere in sala prove solo con il mio gruppo, dove andava sempre tutto bene. Non lo sapevo ancora, ma l’illuminazione in sala faceva per me quello si chiama una ristrutturazione cognitiva: mi aiutava a non porre l’attenzione sul pubblico e sugli eventuali giudizi a cui mi esponevo, ma mi riportava in una situazione sicura e priva di pericoli. Io ero sempre lo stesso a suonare, ma in condizioni ottimali (create dalla mia mente) potevo accedere agli aspetti favorevoli di socialità, gioco e piacere, in un circolo virtuoso di rinforzo e corretto funzionamento del nervo vago. Dopo quattro o cinque concerti non serviva più che la sala fosse buia, avevo imparato a porre la mia attenzione dove volevo, cercando il comfort dei miei compagni di band all’inizio per poi passare flessibilmente all’interazione con il pubblico, per poi tornare a me stesso, alla band, al pubblico in generale o a specifiche persone a seconda del momento, dell’utilità e del piacere.
È quindi fondamentale trovare il modo per inquadrare ogni situazione in modo ampio, concentrandosi sugli aspetti costruttivi e gratificanti, cercando di eliminare eventuali fattori negativi (o perlomeno eliminandone il pensiero, in quanto più pericoloso che altro). Ci sono tanti modi per farlo, noi in particolare con Real Way of Life abbiamo sviluppato: l’utilizzo dei Bisogni Ancestrali per gestire in modo consapevole e attivo i propri bisogni più profondi e le dinamiche motivazionali; il Pensiero Ideografico, uno metodo ricco di differenti strumenti in grado di aiutare la mente a pensare secondo la sua propensione naturale, evitando limitazioni e pregiudizio e, di contro, sviluppando apertura e flessibilità.
5. PLASTICITA’, CONSAPEVOLEZZA E CONNESSIONI NEURALI
Il nervo vago promuove ed è ricettivo rispetto ai segnali e alla connessioni top-down e bottom-up tra diverse aree del sistema nervoso, degli organi interni, dei sensi e dei movimenti corporei. Una maggior consapevolezza e attenzione rispetto ai propri stati interni (dalla tensione muscolare, alla fame, fino al piacere di un cioccolatino), ed esterni (dalla percezione del proprio corpo nello spazio, alla rotazione di un arto, fino alla sensibilità rispetto alla luminosità di uno schermo) permette di sviluppare plasticità neurale, una migliore auto-regolazione e migliorare la risposta del nervo vago.
Lo yoga, il tai chi e diverse forme di meditazione possono aiutare in questo processo. Per chi non fosse attratto da questo tipo di attività o cercasse comunque dei metodi ulteriori da affiancare è utile sapere che si possono avere ottimi risultati secondo almeno due direttrici.
La prima riguarda i già citati Bisogni Ancestrali, tra cui il Piacere gioca un ruolo fondamentale.
Sentire i sapori del cibo e del vino in modo corretto, riattivare il gusto e il disgusto per la loro funzione originaria di scoperta, conoscenza ed evitamento di ciò che è tossico per il corpo, saper riconoscere e distinguere tra la fame, il desiderio di cibo grasso per motivi di stress, il desiderio di cibo cremoso per gratificazione emotiva, ecc. sono tutti validi modi per creare consapevolezza corporea profonda, riattivare processi fisiologici e sviluppare nuove modalità.
La seconda direttrice è più direttamente corporea: il nostro corpo attiva movimenti degli arti, del tronco e della testa che sono ben chiaramente collegati con l’attivazione rispetto alle dinamiche di attacco-fuga o con quelle pro-sociali e che rispettano dinamiche bio-meccaniche che nulla hanno a che vedere con gli schemi simbolici talvolta un po’ abusati. Si tratta di variazioni che spesso non sentiamo più a causa di abitudini non fisiologiche come stare seduti a lungo per studio o lavoro, stare in automobile per ore, ecc. Riprendere consapevolezza di queste attivazioni corporee ci permette di avere più coscienza a partire dal basso di come stiamo vivendo una certa situazione, ci mette in grado di leggere meglio la comunicazione interperonale profonda (in termini etologici potremmo definirla comunicazione da branco, che ha poco a che vedere con gli schemi noti di braccia incrociate, FACS e altri modelli diffusi) di chi ci sta davanti. Inoltre, usata in modo attivo, ci permette di sfruttare un profondo biofeedback nella regolazione delle emozioni.
6. MOVIMENTO (fisiologico e coordinato)
Che il movimento fisico faccia bene è ormai noto. Eppure ci sono delle condizioni di efficacia interessanti, perlomeno riguardo ai nostri temi. L’attività fisica mediamente intensa stimola efficacemente il nervo vago.
Per “mediamente intensa” intendiamo quando si attua uno sforzo appena al di sopra delle nostre potenzialità. Uno sforzo troppo intenso blocca il nervo vago. Le attività ideali sono la camminata veloce o la corsa leggera (rispetto al proprio stato fisico), oppure lo yoga il tai chi e altre discipline
orientali che tengono in alta considerazione la fisiologia del corpo umano e la fisiologia dei movimenti. Inoltre i movimenti che richiedono un livello di coordinazione piuttosto complessa stimolano efficacemente il nervo vago. Le discipline con queste caratteristiche, inoltre, rappresentano un ottimo modo per sincronizzare emozioni, pensiero, ritmi esterni ed interni, capacità di attesa e padronanza, sviluppare e rinforzare connessioni top-down e bottom-up. Per queste sue caratteristiche ne è particolarmente indicato l’utilizzo in casi post-traumatici, a seguito di deprivazioni, avventi avversi o stress cronico. (link ISR)
7. ALIMENTAZIONE
Come abbiamo visto la connessione tra sistema digerente (intestino in particolare) e nervo vago è molto rilevante. Rappresenta una delle vie di comunicazione primarie tra quello che mangiamo, la mente e il sistema immunitario. Su questo tema abbiamo già scritto un articolo che puoi leggere a questo link o approfondire al Master in Scienze Integrative Applicate
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